giovedì 1 marzo 2018

Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde


Buon pomeriggio miei cari lettori e mie care lettrici!

Gennaio è stato un mese intenso dove un po' tutti abbiamo salutato le feste, i pranzi, le cene e le giocate a carte, per ritornare a pieno ritmo alla vita di tutti i giorni. 
È anche stato il mese in cui ho beccato il virus influenzale, come tanti altri milioni e milioni di italiani, che mi ha tenuta lontana dai libri e sostanzialmente è stato l'unico punto negativo, se proprio dobbiamo definirlo. 
Che dire: un nuovo anno è da poco iniziato ed io sono pronta e carica a viverlo con ottimismo!
Febbraio è invece stato il periodo in cui ho ripreso a leggere e non posso che esserne felicissima! 😊

Prima di parlarvi del romanzo, c’è una curiosità che mi ha colpita molto e che vorrei condividere con voi lettori: la nascita del romanzo “Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde”.


Iniziamo !!!

Stevenson all’epoca aveva già raggiunto una certa popolarità grazie alla stesura de L’isola del tesoro. Nonostante questo stava attraversando, insieme alla famiglia, un periodo non proprio idilliaco, sia economicamente che fisicamente, e durante una notte travagliata, sognò alcune delle scene che poi inserì nell’opera.

E non solo!!!

Gli ci vollero solamente tre giorni per scrivere il romanzo che poi consegnò alla moglie - per averne un giudizio – la quale gli fece notare che si trattava di un semplice thriller e che, al contrario, quell’opera avrebbe dovuto avere quel quid che mancava.
Stevenson decide così di bruciare il manoscritto e di ricominciare tutto daccapo. E in soli altri tre giorni ultimò quello che oggi è un classico della letteratura: Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde. 

Inizialmente il romanzo fu pubblicato nel Dicembre 1885 in una collana economica di racconti thriller; solo nel Gennaio 1886 è stato poi pubblicato in volume.

Vi è piaciuta questa piccola curiosità?

A me ha lasciato piacevolmente basita il fatto che l’autore sia riuscito - in così pochi giorni a terminare la sua opera, lasciandoci questa classica perla.

Spero che ciò che segue sia di vostro gradimento... 


Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde
di Robert L. Stevenson

Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde è un romanzo breve scritto da Robert L. Stevenson nel 1886.
Nato ad Edimburgo nel 1850, Stevenson è stato uno scrittore, un drammaturgo e un poeta scozzese.
La sua attività letteraria inizia nel 1871 come collaboratore letterario presso alcune riviste del tempo, dove vengono pubblicati i suoi primi saggi, per poi affermarsi nel 1878 con “An Inland Voyage” e “Travels with a Donkey in the Cevennes” ai quali faranno seguito altre opere importanti: una raccolta di racconti in due volumi ( New Arabian Nights, 1882 ), un romanzo fantastico che recherà a Stevenson una certa popolarità ( L’Isola del Tesoro, 1883 ), accresciuta poi grazie alla stesura di altri due romanzi in particolare: un romanzo storico ( Il ragazzo rapito, 1886 ) e, appunto, Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde, 1886.
Ovviamente a questi fanno seguito altre opere importanti.

Tema principale del romanzo è il dualismo umano, questa eterna lotta tra il bene e il male che Stevenson riesce perfettamente a trasmettere attraverso la scissione reale, e non immaginaria, della stessa persona.
Siamo in una Londra fuligginosa, nebbiosa, un po’ lugubre: la Londra del XIX secolo. Protagonista principale è Dr. Jekyll attorno al quale ruota l’intera faccenda. Jekyll è un uomo di scienza, è un uomo molto ambizioso, desideroso di sapere, di conoscere, un uomo al quale piace molto osare e che sembra non avere alcun timore…

L’ambizione è, appunto, un tema importante che l’autore ci pone innanzi agli occhi durante la lettura e ci fa riflettere su quanto essa, da caratteristica umana degna di lode, possa facilmente tramutarsi in delirio di onnipotenza e dunque risultare dannosa.
Dr. Jekyll aveva – infatti - osato, non solo con il pensiero ma anche nella realtà, creando una medicina che riuscisse a scomporre la personalità umana non nell’immaginario ma proprio nella realtà; ed è tramite questa medicina che riesce a scindere il bene dal male, ognuno con le proprie fattezze.
La sua teoria era, infatti, che l’essere umano non era unico e solo ma duplice, dal momento che in esso esistevano il bene ed il male.

Ma Dr. Jekyll non è solo un uomo ambizioso, è anche un uomo molto intelligente poiché si renderà conto del danno da lui stesso creato, nella sua stessa persona, ma a quel punto sarà oramai inutile e non potrà più tornare indietro: l’ambizione aveva preso il sopravvento su di lui, divenendo così una caratteristica negativa.

Con ciò Stevenson vuole sottolineare che, se da un lato l’ambizione non è un male, dall’altro bisogna sempre ricordare che nella vita, e in qualsiasi occasione, bisogna sempre sapersi controllare poiché a tutto c’è un limite.
Dr. Jekyll è un uomo alquanto complesso perché non rappresenta solo l’uomo ambizioso, che vuole sentirsi potente e sfidare le leggi naturali, ma è anche il ritratto delle debolezze dell’essere umano; il sapere che, appunto, siamo esseri umani e non divinità, con i nostri limiti e le nostre debolezze, che ci caratterizzano nel bene e nel male.

Un altro tema che Stevenson sottolinea è che spesso l’essere umano, proprio perché convinto di dover dominare su tutti e tutti, sentendosi così forte e importante, tende a far prevalere la parte peggiore di se stesso, magari anche inconsciamente, attraverso cattive azioni che facilmente possono tramutarsi in cattive abitudini, e ciò ci fa riflettere su quanto sia più complicato annientare una brutta azione rispetto ad una buona.
Ed è proprio quello che accade a Dr. Jekyll, il quale aveva osato sfidare le leggi naturali creando quella medicina che avrebbe permesso di scindere entrambe le sue parti, l’una l’opposta dell’altra, senza riflettere che prima o poi questa situazione gli si sarebbe ritorta contro. All’inizio Jekyll riusciva a tenere sotto controllo questa situazione: prendendo la medicina, la trasformazione avveniva dopo poco tempo e, una volta terminato l’effetto della stessa, tutto ritornava normale. Ad un certo punto però questo controllo comincia a vacillare: la sua parte malvagia aveva iniziato a prendere sempre più il controllo su di lui, e gli veniva sempre più complicato gestirla.
Questa situazione mi ricorda molto i semi di baobab, che crescevano sul pianeta del piccolo principe, e l’importanza di estirparli sul nascere altrimenti avrebbero potuto prendere il sopravvento e ricoprire totalmente il suo stesso pianeta.
Ecco, i semi di baobab sono quel perfetto esempio che ci fa comprendere quanto i pensieri negativi, il male, le brutte azioni devono sempre essere tenuti a bada perché, qualora noi abbassiamo la guardia, questi possono prendere molto più facilmente possesso della nostra persona rispetto ad un’azione benevola.

Quante volte infatti risulta più facile arrabbiarsi con qualcuno o per qualcosa, piuttosto che cercare di mantenere la calma e fare prevalere la nostra parte migliore?

Dunque un buon consiglio sarebbe quello di trovare un equilibrio dentro noi stessi, quell’equilibrio che ci possa sempre fare migliorare, annientando così sul nascere qualcosa di nocivo non solo per noi stessi, per i nostri sentimenti, ma anche e soprattutto per chi ci sta accanto.

Questo delirio di onnipotenza che pervade l’animo del Dr. Jekyll non viene però ben accolto dagli amici più cari e fidati, dai quali tenderà a fuggire e ad allontanarsi tant’è che poi lo vedremo rinchiuso nel suo stesso laboratorio senza che nessuno vi possa entrare.
Dr. Jekyll si ritrova ingrovigliato in una trappola da lui stesso creata e, nonostante l’affetto sia di Utterson, principalmente, che di Lanyon ma anche dello stesso Poole, che era il domestico di Jekyll, non riusciranno a fermarlo.
Dunque una domanda mi sorge spontanea: 

allora è veramente il male che riesce a vincere sempre?


Gli amici più fidati del Dr. Jekyll sono il notaio Utterson, presente già dalla prima scena e al quale lo stesso Jekyll aveva dato il proprio testamento tempo prima, e il Dr. Lanyon, amico di Jekyll dai tempi dell’università, dal quale si era poi allontanato perché, a detta dello stesso Lanyon, durante una conversazione con Utterson, la mente di Jekyll aveva preso una cattiva strada; più precisamente aveva detto:  

Henry Jekyll ha iniziato a viaggiare troppo con la fantasia, per i miei gusti. Ha preso una cattiva strada; la sua mente, voglio dire

parlando addirittura di scempiaggini pseudoscientifiche.

Andando più a fondo e prendendo in esame Utterson e Lanyon, possiamo notare altri temi fondamentali, quali: la curiosità da parte di Utterson di sapere quello che significava per Enfield ( amico del notaio e suo stesso parente alla lontana ) la porta di quell’edificio abbandonato, all’inizio del romanzo; un sapere completamente differente rispetto a quello di Jekyll, secondo il quale era invece andare oltre ciò che era possibile fare, superare i limiti.
Dunque la curiosità, il sapere in tutte le sue forme: da quella più genuina del notaio Utterson a quella più osatrice e spietata del Dr.Jekyll.

L’ambizione che, se da un lato può portare l’essere umano a fare sempre di più, ad arrivare sempre più in alto, dall’altro può comunque annientarlo ed è proprio ciò che accade a Jekyll, che si renderà conto di non avere più il controllo della situazione. Dunque la consapevolezza è un altro fattore importante del romanzo, ma anche il pentimento e la rassegnazione da parte di Jekyll, il quale aveva capito che l’unica cosa che poteva fare era quella fatale, un’azione dalla quale non poteva più poi ritornare indietro.
E lo stesso sentimento di rassegnazione lo si può notare da parte di Lanyon che, al contrario di Jekyll, era un uomo più pacato ed equilibrato: non viaggiava con la mente come l’amico, nonostante anche lui era un uomo di scienza. Lanyon sapeva infatti che Jekyll si sarebbe cacciato in seri guai e, conoscendolo, sapeva bene che Jekyll avrebbe portato avanti le sue idee.

La devozione che Utterson e Lanyon, ma soprattutto Utterson, provano nei confronti dell’amico Jekyll, in nome di una vecchia amicizia.
Utterson, decisamente preoccupato per l’amico, cercherà in tutti i modi di andare a fondo a questa faccenda, di capire chi sia questo Mr. Hyde; indagherà, sorveglierà quella porta di quell’edificio, fin quando non riuscirà a vedere in faccia questo uomo misterioso che è appunto Mr. Hyde, così tanto diverso nell’aspetto e nei modi fare ma anche dal punto di vista sociale era proprio l’opposto di Jekyll che, al contrario, era un uomo distinto e di un certo rango. Nonostante tutti i suoi sforzi ( cercherà anche di parlare a quattr’occhi con Jekyll stesso ), alla fine Utterson non riuscirà a salvare l’amico dal suo unico destino, un destino che lui stesso si era andato a cercare.

Tutti questi sono temi molto importanti ricollegabili ai giorni nostri perché, quanta gente conosciamo che per la troppa ambizione e per il troppo desiderio di potere arrivano a fare la qualunque pur di ottenere ciò che vogliono, senza sapere che ci sono sempre dei limiti da rispettare, limiti che non bisognerebbe mai oltrepassare per mantenere anche una certa integrità morale, avere dei valori che ti tengano con i piedi ben saldi in terra.
Importante è anche il ricordare di essere sempre rispettosi, anche quando non condividiamo le scelte altrui, come accade a Lanyon che, se da un lato non era contento di essersi allontanato dall’amico e non voleva vederne la rovina, dall’altro non voleva neanche imporgli la sua idea di smetterla con queste fandonie, con queste follie. Rispettava, quindi, suo malgrado, le scelte e la strada che Jekyll aveva oramai iniziato a percorrere; una strada che lo porterà ad una situazione complessa, complicata, a danni irreparabili.
Il sapere che nella vita non possiamo avere tutto e che forse è anche meglio così.
È il volersi anzi il doversi accettare; essere consapevoli che nell’essere umano sono presenti, nella stessa persona, sia una parte benevola che una parte malvagia, e la difficoltà sta proprio in questo: il far convivere entrambe le parti cercando sempre di fare prevalere la parte buona che c’è in ognuno di noi.


È una lettura molto piacevole, scorrevole grazie anche all’utilizzo di un linguaggio semplice.
È una lettura che in un primo memento pare essere una storia a sé, ma se letta attentamente può lasciare tanti spunti di riflessione, come è capitato a me e può farci sempre capire qualcosa di più dell’essere umano e del suo posto nel mondo.




giovedì 2 novembre 2017

Il piccolo principe

Buon giorno miei cari lettori e mie care lettrici 😊 !

So di non essere stata presente in questi ultimi mesi ma, subito dopo le vacanze estive, ho iniziato a lavorare alla mia seconda silloge poetica e tuttora ci sto lavorando: che emozione 😍😍😍!!!

Nonostante questo, non ho smesso di leggere ed infatti oggi voglio proporvi un racconto spettacolare, un racconto che quasi tutti credo abbiamo letto almeno una volta nella nostra vita: Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry.

Non vi nego che ho letto questo libro diverse volte, in momenti differenti e probabilmente tornerò a leggerlo ancora e ancora, perché non ne posso fare a meno, perché è un libro che dà forza, perché è un libro che mi fa sognare, perché mi dà la speranza, perché mi insegna sempre a non mollare mai, a non cambiare in peggio anche quando tutto sembra andare storto, perché mi fa capire l’importanza delle cose semplici e dentro di me mi commuovo ogni volta che lo leggo, perché è un libro unico e non si può non amarlo. 


Spero che lo stesso sia anche per voi!  !



"Il Piccolo Principe"
di Antoine de Saint-Exupéry




Il Piccolo Principe è un racconto, un’opera letteraria per ragazzi scritta nel 1943 da Antoine de Saint-Exupéry, scrittore e aviatore francese nato a Lione, e autore anche di racconti sul mondo dei primi voli aerei come “Volo di notte”, “Terra degli uomini” e “L’Aviatore”.
Il Piccolo Principe è tra le opere letterarie più rinomate del XX secolo nonché tra le più vendute al mondo. 


Narra dell’incontro - avvenuto nel deserto del Sahara - tra un pilota francese, che lì si trovava per riparare il proprio aeroplano dopo un incidente, e una straordinaria personcina come l’aveva definita il pilota stesso, incredulo della sua presenza, dal momento che si trovava molto ma molto lontano dalla civiltà: il deserto, appunto…

L’immagine iniziale è quella di un disegno: un boa nell’atto di digerire un elefante, un disegno che il pilota aveva realizzato quando aveva ancora solo sei anni e che lo stesso aveva definito essere il suo capolavoro. Ma il suo entusiasmo era venuto meno quando, mostrandolo agli adulti, come li chiamava lui, loro non vedevano altro che un cappello. Così, demoralizzato, aveva abbandonato il disegno per concentrarsi su altro, diventando – appunto - un pilota di aeroplani.

Un racconto scorrevole nella lettura, abbastanza semplice ma in realtà estremamente profondo perché tratta della cosa più preziosa che possediamo: il nostro io, le nostre emozioni, i nostri pregi e i nostri difetti.
Sin dalle prime pagine è possibile infatti notare quanta differenza c’è tra un adulto e un bambino. Il bambino sognatore che per meravigliarsi gli basta poco (l’immagine di un boa che digerisce un elefante), contrapposto all’adulto che, credendosi consapevole di ciò che è la vita, non ha più tempo per sognare e meravigliarsi; il bambino che con la sua ingenuità e innocenza mostra con vanto il proprio disegno agli adulti che, al contrario, non riescono a vedere altro che un cappello, simboleggiando la superficialità, il non riuscire a vedere oltre il proprio naso, l’incapacità di guardare oltre senza capire il danno emotivo che procurano a chi cerca di condividere, al bambino che – non preso sul serio – perderà fiducia in se stesso e negli altri. Così come è accaduto al nostro protagonista che, sentendo di aver fallito con i suoi primi due disegni, aveva deciso di dedicarsi ad altro, divenendo un pilota di aeroplani, senza però mai dimenticare di portare con sé quel suo primo disegno, dunque senza mai dimenticare ciò che per lui era importante.

E allora chi davvero, tra l’adulto e il bambino, possiede quella che noi tutti chiamiamo “consapevolezza”?

<<Mi disegni, per favore, una pecora?>>

Una domanda semplice, eppure è proprio da questa che nasce una profonda amicizia tra il pilota e il piccolo principe, perché si sa che le cose semplici sono spesso le migliori. E i pianeti, da lui visitati, non sono altro che le tappe della vita stessa, i luoghi che andremo a conoscere, a visitare e le persone che vi abitano sono le stesse che ognuno di noi incrocia durante la propria vita e in generale rappresentano pregi, difetti e vizi dell’essere umano. Come ad esempio la voglia di potere, che il piccolo principe riscontra nel re incontrato sul primo pianeta, la voglia di comandare sulle vite altrui senza accorgersi che in realtà si è padroni solo di se stessi e che nessuno può essere trattenuto contro la propria volontà; oppure ancora la bramosia della ricchezza, il voler possedere a tutti i costi e con arroganza, tutto ciò che vediamo, credendo essere le cose materiali a dirci chi siamo, proprio come accade all’uomo d’affari, incontrato sempre dal piccolo principe in uno dei pianeti, convinto di poter possedere le stelle, e per questo si affanna a contarle tutto il giorno e tutti i giorni ripetendo a se stesso di essere un uomo serio, senza accorgersi che in realtà il suo è un affare inutile. Qui il piccolo principe, infatti, cerca di spiegare all’uomo d’affari che non sono le cose materiali ad avere importanza e, più precisamente, gli confida:

Io possiedo un fiore che innaffio tutti i giorni. Possiedo tre vulcani dei quali spazzo il camino tutte le settimane. Perché spazzo il camino anche di quello spento. Non si sa mai. È utile ai miei vulcani, ed è utile al mio fiore che io li possegga. Ma tu non sei utile alle stelle…

Ma pregi e difetti dell’essere umano non sono gli unici temi trattati. Importantissimi sono anche altri due temi: l’amore, che il piccolo principe nutre per il suo minuscolo pianeta e per il suo fiore, e l’amicizia che nasce dall’incontro con la volpe.

Il piccolo principe, infatti, si preoccupava per esempio dei semi di baobab che occorreva subito estirpare qualora si riconoscevano, per evitare che si impossessavano del suo minuscolo pianeta.
Come tutti sappiamo, il baobab è un albero molto grande, con delle forti radici e in questo contesto simboleggia i vizi e le cattiverie dell’uomo. Per questo è sempre bene recidere sul nascere qualcosa di cattivo e nocivo, per questo occorre ogni giorno, prima di iniziare la giornata, cercare di essere positivi e lavorare su stessi, migliorarsi e cercare di cacciare via i pensieri più cattivi, proprio come il piccolo principe fa con il suo pianeta e i semi di baobab: amare se stessi per amare gli altri e tutto quello che ci circonda.

Ma un altro pensiero toccava profondamente il piccolo principe: nel pianeta da cui proveniva c’era un fiore nato così, quasi dal nulla, in un giorno di sole e si chiedeva se la sua pecora, quella che aveva chiesto al pilota di disegnare, avesse mai potuto mangiarlo e il perché i fiori hanno le spine, ma quel giorno il pilota si era comportato come gli adulti, credendo che il suo affare (quello di riparare l’aeroplano) era ben più importante delle preoccupazioni di quella straordinaria personcina.
Per il piccolo principe quello era l’unico fiore di tutto l’universo, l’unica rosa, almeno sino a quel momento, e osservandolo non poteva che pensare quanto fosse bello il suo fiore ma, come spesso accade, ci si lascia trasportare dalle parole senza accorgersi di quanto quella cosa o quella persona siano realmente importanti. Lo stesso era capitato al piccolo principe che, preso dalle parole della sua rosa, aveva dimenticato la cosa più importante: che il suo fiore rendeva profumato e illuminato il suo pianeta, e di questo si sarebbe dovuto rallegrare anziché farsi impaurire dalle storie che gli aveva raccontato, quelle che avrebbero potuto compromettere la sua salute (come la storia della tigre con i suoi artigli o delle correnti d’aria). Questo accade perché quando qualcuno a cui vogliamo bene si sente indifeso, cerchiamo d’istinto di proteggerlo con ogni mezzo possibile quando invece l’unica cosa da fare è quella di stargli accanto, di ascoltarlo, di accudirlo con la nostra presenza, apprezzando ciò che quella cosa o quella persona dà alla nostra vita, cercando di farla stare bene. E in questo caso il fiore illuminava e profumava il pianeta del piccolo principe, ma lo stesso non se ne era saputo rallegrare a quel tempo poiché aveva creduto di dover in qualunque modo donare qualsiasi cosa al suo fiore pur di proteggerlo (il paravento, la campana di vetro) senza riflettere sul fatto che sono le azioni quelle che contano (“…Mi profumava e mi illuminava…”) e non le parole, in questo caso le parole dette dalla rosa.

Fondamentale è anche l’incontro tra il piccolo principe e la volpe. Il loro incontro è avvenuto sul pianeta Terra ed è proprio lì, proprio la volpe che ha donato al piccolo principe una splendida realtà sull’amicizia:

“…non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi.

E ancora:  

È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante.

La volpe ha fatto capire al piccolo principe che per ogni cosa, per ogni legame la cosa più importante è la pazienza ma anche la perseveranza, il non arrendersi mai alle prime difficoltà perché è passo dopo passo che si creano i legami e una volta creati non è più possibile spezzarli, anche se a volte può risultare doloroso allontanarsi per proseguire da soli il proprio cammino proprio come accade al piccolo principe con la volpe e con il suo fiore.
La volpe addomesticata saprà infatti riconoscere il rumore dei suoi passi tra mille passi e il grano che scorge da lontano, se prima non significava nulla, d’ora in poi gli ricorderanno i capelli del piccolo principe e allora sarà felice, nonostante sa che le loro strade sono destinate a dividersi. E così anche il ricordo è importante.

Lo stesso accade tra il piccolo principe e il giardino di rose. Dapprima il piccolo principe si era sentito quasi tradito dal fiore del suo minuscolo pianeta, poiché davvero aveva creduto di essere l’unico fiore in tutto l’universo, ma dopo aver incontrato e parlato con la volpe, era ritornato al giardino di rose e lì aveva capito che tutte quelle rose per lui non significavano nulla e che, anche tra migliaia di rose, la sua risultava essere sempre l’unica proprio perché l’aveva accudita, ascoltata, innaffiata e protetta.

Un libro estremamente interessante, dove ogni pagina è intrisa di profondo significato e dove ogni pagina ci insegna qualcosa: a non cacciare via, crescendo, quel saggio bambino che è in ognuno di noi, a non smettere mai di guardare le stelle, a non abbandonare mai i nostri sogni perché sono questi che ci rendono speciali, ad esserci sempre per chi amiamo anche quando ci troviamo in difficoltà e non sappiamo bene cosa fare o come comportarci, perché sappiamo che “…non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”, come aveva ben detto la volpe al piccolo principe. E ancora, ci insegna a non dimenticare:

<< Quando tu guarderai il cielo, la notte, visto che io abiterò in una di esse, visto che io riderò in una di esse, allora sarà per te come se tutte le stelle ridessero. Tu avrai, tu solo, delle stelle che sanno ridere! >>

mercoledì 27 settembre 2017

Riflessi in solitudine


Buon giorno miei cari lettori e mie care lettrici 😊 !

Era da tempo che desideravo creare una pagina dove poter condividere qualcosa in più con voi, qualcosa per me davvero molto ma molto speciale: Riflessi in solitudine, la mia prima raccolta di poesie, pubblicata nel 2013, edita Narcissus.

Di seguito ho deciso di raggruppare le recensioni e segnalazioni che la mia raccolta ha ricevuto, oltre che le interviste che ho tenuto. Ma prima, ovviamente, ecco a voi la sinossi della raccolta:

SINOSSI 






















Riflessi in solitudine è un “viaggio” all'interno della propria personalità, del proprio “essere fino in fondo” attraverso cui scoprire piccole sfumature delle proprie emozioni.

È la tristezza il tema dominante e con il quale si intraprende questo viaggio dove si lascia spazio anche al dolore che lacera l’animo, all'indifferenza verso se stessi, alla riflessione, vista sia come essenziale per poter vivere sia come artefice della sofferenza poiché è riflettendo che si viene a conoscenza dei propri pensieri, dunque della propria condizione di essere umano. È così che si conosce la propria sofferenza che arriva a tramutarsi in pianto, alla fine. Ed è il pianto una forma estrema della sofferenza stessa, un punto di non ritorno ma dal quale si può sempre ricominciare, grazie al quale si riesce a liberarsi di ciò che ci logora l’animo, da ciò che ci angoscia.

Lungo questo cammino è possibile anche incontrare le illusioni e le speranze ostili entrambe, in fondo, all'essere umano. Ma se le illusioni rispecchiano ciò che non esiste, le speranze aiutano almeno a dare fiducia in ciò che verrà, inducono a porsi la domanda “E cosa accadrà domani?”.

Un viaggio, un cammino forte dove a tratti ci si sente anche smarriti, confusi, incapaci, addirittura fragili; un viaggio che termina con la pesantezza della solitudine, quella solitudine in cui non si riconosce niente di ciò che ci circonda: nessun volto, nessun suono. Smarriti, appunto.



RECENSIONI :

Recensione libro

IdealMentre

La penna nel cassetto

Nuove pagine

Oubliette magazine

Dea Notizie

Recensioni per esordienti

Chicchi di pensieri

Cultura al Femminile

Chance In Comune

Libri Scrittori Lettori

SEGNALAZIONI :

La Bottega Dei Libri

TuTTa ColPa dEi LiBrI

Scrivere mi piace

Libri di cristallo

Il Colore dei Libri

La Fenice Book

INTERVISTE :

Libri Scrittori Lettori

Recensione Libro

L'accento di Socrate

Recensioni per esordienti

Oubliette magazine



Se vi va, lasciate pure un commento o scrivetemi in privato all'email che trovate nella sezione Contatti.

Sarò ben lieta di leggervi e rispondere nel più breve tempo possibile 😊 .

Per chi, invece, desidera acquistare la mia silloge Riflessi in solitudine, può farlo cliccando sui link seguenti:

Amazon

IBS

Spero di avervi incuriosito, almeno un po', mostrando qualcosa in più di me.

Ma prima di salutarvi, volevo cogliere l'occasione di ringraziare tutti coloro che hanno dedicato parte del loro tempo alla mia silloge con recensioni, segnalazioni e interviste.

GRAZIE, GRAZIE e ancora GRAZIE per le bellissime parole che ognuno di voi ha speso nei miei confronti e nei confronti del mio lavoro.


Auguro a tutti una splendida giornata e... A presto!!! 💋💋






sabato 1 luglio 2017

L'Onda perfetta

Buon giorno miei cari lettori e mie care lettrici 😊 !
So di non aver pubblicato nulla nel mese di Giugno e le mie letture stanno andando un po' a rilento, ma spero di rifarmi del tempo perduto... 😉
Oggi, infatti, voglio proporvi la recensione di un altro libro di Sergio Bambarén (un autore di cui ho già parlato nel post precedente): "L'Onda perfetta".
Spero vi sia piaciuta la mia recensione alla sua prima opera e spero vi piaccia anche questa. 


"L'Onda perfetta"
di Sergio Bambarén


L’onda perfetta” è il secondo romanzo dello scrittore australiano di origine peruviana Sergio Bambarén - autore de “Il Delfino” - pubblicato nel 1999.  
John Williams è un uomo di successo, ammirato e invidiato da molti, dirigente della società finanziaria da lui stesso fondata anni prima. Alla soglia dei quarant’ anni comincia a guardarsi intorno, ad analizzare la sua vita piena di successi e ottimi affari e realizza che, in tutto questo tempo, immerso in queste faccende, “qualcosa era andato perduto”: la sua felicità. L’incontro poi con Simon, un uomo misterioso, lo aiuterà a guardare ogni cosa in modo diverso, a ricordare la bellezza delle cose davvero importanti, a prendersi il tempo per vivere…

Una storia ricca di significato, semplice ma ancora una volta coinvolgente ed emozionante. È il singolo a farla da padrona con le sue molteplici caratteristiche, in tutta la sua complessità, come si evince già dalle prime righe. È la voglia di fuggire dalla realtà che, giorno dopo giorno, ci spinge ad allontanarci da tutto, da ogni suono e da ogni rumore, da ogni cosa, per restare come intrappolati nei nostri pensieri, nel vortice delle nostre attività quotidiane. Fermarsi a riflettere sulla propria vita ed accorgersi che qualcosa manca nonostante gli agii e i successi; sentire di non possedere niente, avendo tutto. Sentirsi, dunque, smarriti avendo perso ciò che in fondo rende vivi: il tempo per noi stessi. Cominciare a guardare le cose in maniera differente, da un altro punto di vista ed accorgersi di cose di cui prima se ne era ignorata persino l’esistenza, come accade a John Williams quando, passeggiando lungo la Baia, si ritrova davanti ad una scogliera a lui sconosciuta. Ed è proprio scavalcandola che ha inizio la sua nuova vita: è qui, infatti, che discuterà con Simon e dove, a poco a poco, comincerà a ricordare come essere nuovamente felice.
Tutto questo non gioverà solo al suo cuore e alla sua anima ma anche al suo corpo: il suo era, infatti, un aspetto ben più rilassato e disteso. 

Riflettere sul fatto che spesso siamo così presi dal raggiungere il successo e la notorietà, da credere che il prestigio e la ricchezza portino alla felicità, e che la felicità stessa sia qualcosa da possedere a tutti i costi, quando invece “la felicità, come la purezza interiore, non ha prezzo, ma una sola casa: il tuo cuore”, aveva detto Simon a John. Ed è a causa dei tanti, troppi beni materiali che spesso gli uomini si smarriscono, circondati da questa irrefrenabile voglia di possedere ogni cosa, divorati dall’avidità dalla quale spesso non riescono a distaccarsi, che inevitabilmente li allontana da loro stessi perdendo il senso di ogni cosa, anche delle piccole cose quelle che - si sa - sono le più importanti. Come ad esempio godersi un bel tramonto o una splendida serata in compagnia di un buon amico col quale parlare di ogni cosa, e comprendere quanto questo sia importante e quanto possa essere utile a noi stessi per “riprenderci” dai continui assilli, dalle continue pressioni del mondo reale, quello con cui quotidianamente ognuno di noi deve fare i conti. Ed in fondo basta poco per essere realmente felici, basta farlo per la ragione giusta: per noi stessi. Così come è importante fare del bene perché sentiamo di volerlo fare, senza per forza trarne qualcosa in cambio.

Essenziale è inoltre il ricordo, soprattutto i ricordi d’infanzia quando ancora si agiva seguendo il proprio cuore, il proprio istinto, quando ancora - nonostante appartenessimo a questo mondo - ne ignoravamo le leggi che lo regolano, le stesse che crescendo ci influenzano, in un modo o nell'altro, che ci spingono a preoccuparci di ciò che la gente pensa, perdendo così l’incanto e la bellezza della magia. La gente, sempre pronta a puntare il dito al prossimo, sempre pronta a mal giudicare qualcuno per il suo aspetto, per come si presenta, senza capire che in fondo sono le nostre emozioni, i nostri sentimenti, le nostre idee, le nostre azioni, la nostra complessità a renderci unici e speciali. E saranno loro i primi a voltarci le spalle nei momenti di difficoltà. Per questo quindi è sempre bene percorrere la propria strada, incuranti delle dicerie della gente, perché “la felicità non va inseguita, ma è un fiore da cogliere ogni giorno, perché essa è sempre intorno a te”. E così il viaggio che chiamiamo vita può condurci alla felicità e tutti i sacrifici, tutto il duro lavoro non saranno altro che i mezzi attraverso i quali poterla raggiungere.

Un libro, come detto all'inizio, coinvolgente ed emozionante dove ogni pagina insegna un po’ a vivere e dove è possibile vedere anche un po’ di noi stessi, in qualche modo: quante volte infatti, ci siamo posti le stesse domande che lo stesso John rivolge a Simon, in merito a tutte le cose brutte che accadono ogni giorno? Eppure, dice Simon che tutto accade per una ragione, anche quando noi non riusciamo a comprendere. Ed è qui che entrano in gioco la speranza, la voglia di vivere e condividere con chi è meno fortunato di noi un po’ di felicità, che ci induce a credere ancora nei sogni, perché in fondo il nostro cuore “…è un gabbiano che vola libero nei cieli della vita”. 




lunedì 29 maggio 2017

Il Delfino

Buon giorno lettori e lettrici 😊 !

Una nuova settimana è appena iniziata ed io sono pronta a proporvi una nuova recensione, ma prima voglio raccontarvi come i miei occhi hanno incrociato la copertina di questo splendido romanzo.

Ero ancora adolescente quando, in un pomeriggio qualunque, mi ritrovai in una rinomata libreria. Iniziai a girare e girare, tra quel bellissimo profumo di libri, quando - d'un tratto - eccolo lì, adagiato su uno scaffale dove gli altri suoi simili sembravano fare da contorno, "Il Delfino" di Sergio Bambarén. Rimasi subito colpita dalla copertina e dal titolo, così aprii e iniziai a leggere la sinossi, nonostante non avessi mai sentito parlare dell'autore.

In un attimo ero già alla cassa, con il mio bel romanzo tra le mani che aspettava solo di essere letto.
Arrivata a casa, ricordo di averlo letto tutto d'un fiato ( è un romanzo breve ) e il mio istinto mi aveva consigliato bene: parola dopo parola, pagina dopo pagina, mi accorgevo della fortuna che sentivo di aver avuto nell'accorgermi proprio di questo libro...

Perché vi ho raccontato questo aneddoto?

Perché solitamente il mio modo di scoprire i libri è ben diverso. Solitamente mi chiedo cosa voglio leggere e allora parte quell'intensa ricerca che, alla fine, mi porta sempre tra romanzi per me splendidi... Spesso parto da un genere ben preciso per poi approdare in tutt'altro genere. Ma con "Il Delfino" non è stato così ed ecco - allora - in cosa è particolarmente importante, per me, questo romanzo.


"Il Delfino"
di Sergio Bambarén

Il Delfino è il primo romanzo dello scrittore australiano di origine peruviana ( nasce a Lima ) Sergio Bambarén, pubblicato nel 1997. Autore anche di altri romanzi quali “L’onda perfetta”, “Vela Bianca”, “Serena”, “Stella”, “Il guardiano del faro” e tanti altri.

Il romanzo si apre con un’immagine quasi ancestrale dei primi raggi del sole che spiccano tra le nuvole. Dalle acque blu dell’oceano ecco comparire Daniel Alexander Dolphin, un delfino sognatore che, forte delle sue convinzioni, si ritroverà a dover affrontare il mare al di là della laguna dell’isola in cui vive assieme ad altri delfini - suoi amici - alla scoperta dell’ “onda perfetta”, quell'onda che gli svelerà il vero scopo della sua esistenza…

Un romanzo breve, scritto con semplicità ma d'effetto, il cui centro risiede nel sogno dal quale poi scaturiscono l’importanza di coltivare i propri desideri con costanza e dedizione, perché solo con la fatica si possono ottenere i migliori risultati; non ascoltare i pensieri altrui se questi sono fatti solo di scherno, ma fidarsi sempre del proprio istinto e sapere sempre ascoltarela voce del mare”, la nostra coscienza, senza mai farsi influenzare dalle dicerie: “diffida della creatura chiamata uomo” aveva detto la megattera a Daniel, senza sapere che proprio con l’uomo avrebbe condiviso il suo sogno, quei momenti magici e di infinita bellezza; sorprendersi, così, nel sapere di non essere il solo a provare quelle emozioni che lo avevano spinto così oltre. Avere, ancora, la forza di andare avanti allontanandosi – talvolta - anche dai propri posti, dai propri affetti ( Daniel abbandona il branco, il suo miglior amico Michael e la sua laguna ) pur di raggiungere e realizzare i propri sogni senza però dimenticare chi siamo e da dove proveniamo. La paura e l’angoscia di sentirsi soli, tristi “in un mondo di estranei” con la nostalgia nel cuore e i mille dubbi che la assalgono, senza poter condividere con chi amiamo la bellezza delle cose che ci rendono felici, che ci rendono liberi.

Ma il cammino non è solo un groviglio di pensieri e sentimenti negativi. E' anche fatto di immense bellezze dove e dalle quali imparare sempre qualcosa di nuovo, sapere di non essere in realtà soli ad intraprendere la via dei sogni. E così Daniel Dolphin durante il suo cammino incontrerà una megattera, un pesce sole, uno squalo ed un anziano delfino ( tutti incontri fondamentali, quasi una sorta di guida ) prima di imboccarsi nel luogo in cui avrebbe raggiunto e cavalcato l’onda perfetta: il suo sogno, quello che gli avrebbe svelato la sua vera esistenza, il saper cogliere ogni occasione che la vita offre e saper dare un senso ad ogni istante, non smettendo mai di “meravigliarsi della natura delle cose”.

Un modo di vivere quello di Daniel che, ai giorni nostri, risulta difficile da realizzare e far vivere in un mondo fatto di pregiudizi e cattiveria - in fondo - dove la maggioranza è costituita dal branco che, proprio come il branco della laguna, si dedica quasi interamente ai “doveri quotidiani”, sempre pronto a chiudersi in se stesso, restando nella propria ignoranza, pronto a prendersi gioco e a giudicare chi – secondo loro – non appartiene al branco, e per questo si finisce col crederlo morto.
Ma i veri morti sono loro che hanno rinunciato ai propri sogni per lasciare spazio ai “falsi tesori” mentre il sognatore è “un cucciolo […] capace di sognare…” perché crede veramente che il sole, la luna e le stelle siano magici. E sono questi i “veri tesori”.

Un libro ricco di metafore, da leggere ad ogni età, in qualsiasi momento ma soprattutto quando ci si sente smarriti, tristi e scoraggiati, “Il Delfino” porterà nuovamente il coraggio, la forza e il sorriso di intraprendere il nostro cammino laddove un attimo prima c’eravamo sentiti insicuri.

venerdì 26 maggio 2017

Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare

Buon giorno lettori e lettrici 😊 !

Era da tempo che riflettevo su un blog tutto mio ed eccomi finalmente qui, alle prese con il mio primo post: sono emozionatissima! 

Spero di tenervi una piacevole compagnia, d'ora in poi...

Il mio primo post lo voglio dedicare ad un romanzo per me particolarmente importante. E perché è particolarmente importante? Perché si tratta del mio primissimo romanzo letto, quello che ha dato il via alla lettura di tanti altri romanzi: 

"Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare" 
di Luis Sepùlveda

Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare è un romanzo scritto nel 1996 da Luis Sepùlveda, scrittore ma anche giornalista, sceneggiatore, regista e attivista cileno naturalizzato francese.
Il suo primo romanzo, “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore” conquista la scena letteraria dando vita così ad altri romanzi: “Il mondo alla fine del mondo”, “Un nome da torero”, “La frontiera scomparsa”, “Diario di un killer sentimentale”, prima di arrivare alla stesura del romanzo “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”, uno dei libri più letti negli ultimi anni.

Tratta dell’incontro, inaspettato ed improvviso, tra un gabbiano femmina di nome Kengah ed un gatto nero, grande e grosso di nome Zorba il quale si vedrà costretto a mantenere tre promesse che Kengah gli chiede, morente: non mangiare l’uovo che desidera deporre prima di morire, prendersene cura fino alla nascita del piccolo e insegnarli a volare…


Una storia dolce, emozionante, preziosa, tutta impregnata di nobili sentimenti che ruotano attorno ad un tema principale: la diversità. Ed ecco così che possiamo percepire la generosità, la fiducia, la lealtà nel mantenere la parola data, la solidarietà - soprattutto - tra esseri differenti. E ancora l’istinto di protezione, l’amore e la costanza grazie ai quali è possibile cogliere i frutti seminati, portare a compimento ciò per cui siamo stati incaricati, senza chiedere nulla in cambio. Il dialogo, elemento fondamentale, grazie al quale è possibile chiarire dubbi ed incertezze, salvare e rafforzare ogni tipo di rapporto. L’accettazione di chi è diverso da noi ( “Ti abbiamo dato tutto il nostro affetto senza alcuna intenzione di fare di te un gatto. Ti vogliamo gabbiana.” ) ed esserne orgogliosi ( “…è bene che tu sappia che con te abbiamo imparato qualcosa che ci riempie di orgoglio: abbiamo imparato ad apprezzare, a rispettare e ad amare un essere diverso” ) poiché, come dice Zorba, “è molto facile accettare e amare chi è uguale a noi, ma con qualcuno che è diverso è molto difficile […]”.
Sostenere, rassicurare non solo con le parole ma anche con l’affetto, esserci quando chi amiamo prova paura nel fare qualcosa che non ha mai fatto prima. Non mollare mai, poiché “non si vola mai al primo tentativo […]”. Ed essere felici dei successi di chi amiamo, senza mai provare invidia, ma anzi sapersi commuovere nel vedere l’altro felice, senza preoccuparsi di mostrare i propri sentimenti: “Volo! Zorba! So volare!” esultava Fortunata. Essere sensibili nel saper ascoltare, chiacchierare e condividere qualcosa con chi è diverso da noi, e scoprire quanto questo possa essere piacevole, costruttivo, quanto possa fare sentire in simbiosi esseri differenti; una sensibilità che non tutti possono vantarsi di possedere. E' , infatti, una sensibilità di pochi, di chi riesce ancora ad emozionarsi, di chi - in fondo - non segue schemi ben precisi dettati dalla società, per cui ogni cosa va “collocata” nel suo posto. Di chi riesce, ancora, a comprendere i silenzi e la bellezza di una mano tesa al prossimo, ed esserne grati.

Una sensibilità che quasi entra in conflitto con la società in cui viviamo, dove tutti corrono, affaccendati in mille attività che riducono, sostanzialmente, la qualità delle emozioni, dei sentimenti, della vita stessa, per lasciare spazio a cosa? All’arroganza, alla presunzione di sentirsi migliori, di sentirsi parte di una società che si sta distruggendo. Una società dove il dialogo non è più ascoltare e confrontarsi, ma compiacersi continuamente di se stessi, di ciò che si fa o di ciò che si è riusciti a fare, senza preoccuparsi di chi veramente ci sta intorno, senza curarsi né comprendere, il più delle volte, quanto importante possa essere per l’anima quella mano tesa, quel profondo silenzio.

Un libro che indubbiamente fa riflettere e per questo assolutamente da leggere, anche più e più volte nel corso della vita, per non dimenticare che il mondo non ruota attorno alle corse folli della società, per non dimenticare l’autenticità di ciò che siamo nel nostro intimo, al di là dunque della nostra fisicità. Un libro dal quale imparare decisamente a guardare ben più in là delle semplici apparenze, a non arrendersi mai, specialmente di fronte alle difficoltà della vita perché è quando pensiamo che tutto sia perduto, è quando ci troviamo sull’orlo del baratro che si capisce ciò che è veramente importante: “Che vola solo chi osa farlo”.